Il ritorno a un testo scritto in una notte, pubblicato trent’anni dopo con le illustrazioni dell’autore
C’è un Mauro Corona che si confronta con il presente nei salotti televisivi, e ce n’è un altro che affonda le mani nella memoria, nel silenzio, nella neve. Il soffio del gallo forcello, pubblicato da Mondadori nella collana Scrittori italiani e stranieri, appartiene al secondo. Si tratta di un racconto breve, scritto “di getto in una notte” nel 1994 su richiesta dell’amico e maestro Aldo Colonnello, fondatore del Circolo culturale Menocchio. Mai pubblicato da un editore, quel testo oggi rinasce con le illustrazioni dello stesso autore, a trent’anni dalla sua prima stesura.
Corona ne ha parlato con Fastbook in un’intervista su Facebook, nella quale lo scrittore e scultore ha raccontato il contesto in cui il libro è nato, le radici profonde che lo legano al suo vissuto e alla montagna, e il perché questa riedizione abbia per lui un valore speciale.
“È stato il mio primo testo che è stato reso pubblico, quando ancora non pensavo che sarei diventato uno scrittore. Non era un libro, era una cosa piccola. Ma era già tutto lì.”
Una montagna che non fa sconti
Nel racconto si intrecciano due piani che, nel mondo di Mauro Corona, sono inscindibili: l’esperienza concreta della montagna e quella interiore dell’infanzia e del rapporto con il padre. L’azione si svolge in un arco temporale breve, una notte d’attesa nei boschi, ma i ricordi vanno ben oltre: evocano una crescita forzata, un’educazione alla durezza, in cui la pietà è vista come debolezza e il silenzio è una legge non scritta.
“Guai a colui che, consigliato da qualche favilla di sensibilità, osava rifiutarsi. Si raccoglieva l’eredità dei padri, cacciatori o bevitori che fossero.”
L’io narrante — lo stesso Corona — segue il padre nella caccia al gallo forcello. È primavera, la stagione degli amori per questi uccelli selvatici, e per questo il momento “più facile” per colpirli. Ma niente nel racconto è facile: né l’attesa nel gelo, né il silenzio, né la paura che striscia nei pensieri del bambino, né lo sparo che rompe l’alba e lo costringe a raccogliere il corpo ancora caldo della preda.
“Il boato si ripeteva nelle valli; mi sembrava che tutto il mondo ci avesse scoperti. Mi prendeva un’agitazione incontenibile.”

Una scrittura che incide come scalpello
Nelle parole di Mauro Corona, la montagna è reale ed è metafora. Le cime friulane, le ombre dei larici, i rami di mugo, i voli dei gufi sono parte di un paesaggio che forma la geografia del territorio come anche l’anima. Il padre è figura severa, ruvida, a tratti persino crudele, ma mai banalmente negativa. Corona lo descrive come un’ombra fatta di brace e silenzi, che fuma e parla poco, che insegna con gesti duri e rari gesti di tenerezza.
“Qualche volta nel buio lo sentivo come persona estranea e malvagia, e lo odiavo. Ma quando la luce dell’alba illuminava il suo viso semplice, tornavo a volergli bene.”
Quello che colpisce nel libro, e nell’intervista di Fastbook, è la capacità dell’autore di non indulgere nella nostalgia: ogni immagine è asciutta, ogni riflessione sorvegliata, e anche i ricordi più dolorosi non cercano consolazione. Corona non giustifica né condanna. Racconta. E, nel farlo, costruisce un ponte tra generazioni, tra chi ha vissuto la montagna come fatica e iniziazione, e chi oggi la guarda da lontano, magari attraverso la TV o i libri.

Il valore del tempo e dell’attesa
Alla domanda sul perché abbia scelto proprio ora di ripubblicarlo, l’autore risponde:
“È un racconto rimasto nel cassetto per tanti anni. Parlava già allora di un mondo che stava sparendo, ma che io continuo a portarmi dentro.”
Un mondo che sembra lontano, ma che ci ha formati senza che ce ne rendessimo conto. Riemerge nei ricordi, nelle abitudini, nel modo in cui impariamo a stare al mondo.
In un’epoca di velocità e rumore, Il soffio del gallo forcello è una lettura breve che richiede lentezza. Un libro da leggere con il passo del camminatore e l’attenzione del cacciatore quando, invece di sparare, decide di osservare.