Il romanzo di Gessica Franco Carlevero è qui per restare
C’è una generazione che è cresciuta facendo i conti con genitori fragili, promesse mancate e un futuro instabile. Una generazione che scrive come se avesse visto troppo, troppo presto: la precarietà degli affetti, l’inadeguatezza degli adulti, l’infanzia che non protegge. Il buco di Gessica Franco Carlevero, uscito per Sellerio a maggio 2025, è un romanzo che ne incarna pienamente lo sguardo: lucido, disilluso, ma ancora attraversato da desiderio e speranza. Un libro che lascia il segno e chiede di restare ben oltre la corsa frenetica delle novità editoriali mordi e fuggi.
Gessica Franco Carlevero, classe 1980, piemontese, non è nuova alla scrittura. Ha già pubblicato con Fandango, scritto saggi per Einaudi Scuola e racconti per riviste letterarie, ma è con Il buco che sembra trovare una forma definitiva, una voce perfettamente sintonizzata sulla complessità del nostro tempo. Il romanzo si presenta, in apparenza, come un bildungsroman, ma rompe da subito le regole: non promette approdi, non sancisce conquiste. A trent’anni la protagonista, Irma, si strappa ancora i capelli dalla testa, come faceva da bambina. La tricotillomania è solo il sintomo più visibile di un vuoto interno — il buco.

Un’educazione sentimentale tra i cocci
Irma è cresciuta nella zona d’ombra dell’affetto: un padre svanito tra i debiti di gioco, una madre assorta in una relazione con un minorenne, più interessata all’oggetto della propria passione che alla figlia. La bambina di allora ha costruito un solo proposito, testardo e assoluto: non essere come loro. Ma cosa succede quando la vita adulta si rivela, se possibile, ancora più accidentata?
Irma si laurea in filosofia, sogna di scrivere per il teatro, ma intanto scrive tesi per altri. Sta con Giacomo, un interprete di lettere d’amore italo-ucraino, anche lui precario per destino e per indole. Insieme fanno la cosa più audace e più normale: decidono di cambiare aria, partire per Marsiglia e avere un figlio. Come se bastasse varcare una frontiera e moltiplicarsi per diventare finalmente adulti. Ma il figlio arriva, e con lui il carico quotidiano della maternità, con i suoi silenzi, le sue privazioni, e quella sensazione che molti riconosceranno: l’identità che si scinde, che non ti appartiene più del tutto.
La voce di una generazione che (non) cresce
C’è qualcosa di profondamente millennial ne Il buco. Non solo nella temporalità — i protagonisti sono figli degli anni ’80 — ma nell’ossatura esistenziale. La letteratura di questa generazione, lo stiamo vedendo anche nei romanzi più recenti, è un continuo oscillare tra disincanto e ostinazione, tra la nostalgia di ciò che non è mai stato e la fatica di stare al mondo. Irma e Giacomo appartengono a quel gruppo umano che ha interiorizzato la crisi come condizione permanente: tirare a campare è un obiettivo realistico, non una sconfitta.
Ma quello che rende il romanzo di Gessica Franco Carlevero così vibrante, e a suo modo luminoso, è la lingua. Una lingua che si piega e si adatta ai pensieri disordinati, affilati, teneri e taglienti della sua protagonista. La voce di Irma è vera, viva, incandescente. Ti accompagna nelle sue riflessioni mentre allatta, mentre scrive, mentre litiga, mentre guarda il mondo dal suo piccolo grande “buco”. E non è una voce costruita per piacere. È una voce che interroga e che resta.
Maternità senza etichette
Una maternità così, senza sconti né parabole edificanti, è difficile da trovare nella narrativa. Eppure, negli ultimi tempi, qualcosa si muove: si scrivono romanzi capaci di raccontare la trasformazione, il corpo che si spacca in due, l’identità che fatica a riformarsi. In questa scia si inserisce anche Il buco, ma con una voce tutta sua — più sommessa, più ferita, più radicata in un’ostinazione che è anche resistenza.
Irma non fa proclami, non cerca alleate, non simbolizza nulla. Allatta, si dispera, tira i capelli mentre cammina. Si guarda vivere.

E chi legge sente che non c’è bisogno di aggiungere spiegazioni. La maternità, qui, è un fatto. È la vita che chiama e che inghiotte. È anche un modo, durissimo, di esistere.
Una letteratura che fa domande
Leggere Il buco significa farsi domande radicali: cosa definisce una vera età adulta? Che ne è del romanzo di formazione in un mondo dove la formazione sembra non finire mai, e dove nessuna età sembra poter essere definita “matura” senza riserve? È questa la nuova letteratura millennial: non dà risposte, ma formula domande spiazzanti. E lo fa senza retorica, con la forza ruvida dell’esperienza.
Per questo motivo riteniamo che Il buco sia un titolo da non perdere. Non uno di quei libri destinati a sparire tra i resi della settimana, ma un romanzo che può trovare il suo pubblico anche col tempo, anche “fuori stagione”. Una storia che merita spazio in libreria e continuità nei consigli di lettura. Perché è vero: il buco non si colma, ma possiamo imparare ad abitarlo.

